"L'uomo è il risultato di un'idea BREVETTATA da secoli - io tento modelli di idee e li chiamo brevetti - ma non dureranno in eterno - anche se qualcuno li ritroverà"
Ha partecipato alle più importanti esposizioni nazionali ed internazionali del periodo, tra cui: tre edizioni della Biennale di Venezia (1956, 1958 e 1968), tre edizioni della Quadriennale di Roma (1955, 1959, 1973) e una edizione della Biennale di Tokyo (1968).
E' stato un precursore di molte delle correnti artistiche europee.
"…è vero che nei viaggi spaziali c’è la necessità di ottimizzare l’ingombro, ma sono convinto che dove viaggia l’uomo viaggia l’arte...”
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/01PERIODO FIGURATIVO
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/02SCHERZI
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/03ZONE E SOLUZIONI
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/04PLASTICHE
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/05GESTI
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/06MAPPE
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/07STRUTTURE LABIRINTO
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/08ANGOLARI
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/09MULTIPLI
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/10GEOMETRICI
Opere tra il 1947 e il 1950. In questo periodo dipinge paesaggi, scolpisce busti e figure umanizzate. Ha appena terminato la convalescenza dopo la tragedia del ’44, sta frequentando l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove si diplomerà nel ’50 in Scultura. Successivamente tenterà l’imbarco verso l’America, ma frastornato e senza soldi sarà costretto al ritorno verso casa dalla Sicilia. Con mezzi di fortuna, infine, riuscirà a raggiungere Roma, e lì deciderà di stabilirsi per il resto della vita.
Opere tra il 1950 e il 1954. Caraceni intitola "Scherzi" le opere di questo periodo, compiute guardando i maestri del passato come Mirò, Klee, Picasso. Si tratta di esibizioni grafiche di una linea calligrafica, che anni più tardi si tramuterà nel filo dei "Gesti". Lo scherzo in musica punta di solito all’arguzia e al gioco, così similmente si comportano le opere di Caraceni, giochi arguti che alleggeriscono le tensioni provocate dalla visione del colore e che il segno grafico tende a creare, quasi si trattasse di uno spartito musicale.
Opere tra il 1953 e il 1956. In questo periodo è a contatto con il mondo cinematografico come scenografo e produttore di documentari, in cui sperimenta la musica elettronica. Queste passioni vengono trasmesse in questi dipinti. Qui passa dal linearismo calligrafico all’allusione ad un materismo, che si fa sempre più evidente. I piani cromatici degli "Scherzi" prendono corpo, ma è un rilievo ancora simulato nella tecnica pittorica.
Opere tra il 1955 e il 1959. Al colore classico si aggiungono materiali plastici, come il cellophane che vengono combusti su tela. È il trionfo della materia bruta. Si cancella ogni segno lineare, nessun controllo razionale. Usa colori accesi, verdi, azzurri, rossi, in quanto qualità prime della materia, ma anche argenti, bianchi e neri. Espone per la prima volta le "Plastiche" alla Biennale di Venezia nel 1956, nella sala 29. Spesso i suoi nuclei li inquadra in passepartout, realizzati come feritoie da cui studiare il soggetto.
Opere tra il 1955 e il 1962, con alcune "Riproposte" nel 1974, dove l'artista si arma di martelli, seghe, chiodi, reti metalliche, fili metallici ed elettrici, cercando una pulizia formale dove vengono fissati dei punti, avvolti fili e fatti scorrere punto su punto. Il pittore diventa anche artigiano: crea un gesto di separazione fra il mondo fisico, la materia pittorica e il mondo spirituale. Il pensiero rappresentato dal chiodo che si allontana dalla superficie, ma non è isolato, subito si collega agli altri in un “contatto” rappresentato dal filo, crea una rete viva e indipendente da come cambia il mondo fisico sottostante.
Opere tra il 1960 e il 1970. Accantonato il materismo, il nuovo riferimento è il segno tracciato dal filo dei "Gesti" o dal tratto nero e pulito della penna. La trama allude ad una mappa, territorio e città vista dall’alto. Una "Land Art" di carta racchiusa in progetti di spazi abitativi.
Opere tra il 1965 e il 1969. Sfruttano elementi industriali di plastica, prestampati, ma sperimenta anche con legno e carta, al fine di animare lo spazio a ridosso della superficie. È un altro elemento, come le mappe, osservabile dall’alto, più organizzato, più architettonico, e ancora una volta spazio percorribile come un filo, un filo “d’Arianna”, che attraversa un passaggio che ricorda le grandi megalopoli. Spesso le chiama anche "Antistrutture" in quanto il labirinto, più che una struttura, è il suo contrario.
Opere tra il 1965 e il 1976. Con la conquista dello spazio, le discussioni sulla dominazione della tecnologia sull’uomo si fanno accese, lui è paladino della tecnica, ma con l’uomo sempre presente, infatti diceva: “È vero che nei viaggi spaziali c’è la necessità di ottimizzare l’ingombro, ma sono convinto che dove viaggia l’uomo viaggia l’arte”, e qui teorizza il quadro d’angolo, riferendosi al suo dialetto veneto, trovare un “canton” (angolo) per ogni cosa, anche per l’arte, che considera come parte inscindibile dell’uomo. Queste opere non sono fini a se stesse, in quanto imperniate di utilità pratica, infatti fungono anche da sostegno per libri o piccoli oggetti, tramutandosi quasi in un pezzo di design d’arredamento.
Opere tra il 1967 e il 1986. Riprendono l’idea compositiva alla base degli "Scherzi" del segno senza fine, tracciato in un unico gesto ininterrotto, in un contesto di pulizia formale e cromatica. La fattura si adatta in tutto e per tutto al carattere anonimo dell’immagine seriale insita nella pratica del multiplo, appena ravvivata da qualche scrittura a mano, con i colori che sfoggiano i toni saturi e compatti delle vernici tipografiche.
Opere tra il 1969 e il 1986. I Geometrici sono i lavori di Caraceni che più si avvicinano all’ortodossia dell’"Optical Art", con tanto di ambiguità percettive tra figura/sfondo, superficie/rilievo, linea/colore. Colori asettici e brillanti sono la base compositiva per queste costruzioni geometriche che rinviano alla grammatica dell’immagine della civiltà post-boom economico, che si è fatta ricca ed eccessiva, anche nei colori e nelle forme.